LA «BANDA SPIOTTA»
Alla vigilia della data simbolo del 25 aprile, la casa editrice si presenta con una novità riguardante la Repubblica sociale italiana, uno dei periodi più studiati in campo storiografico ma che continua ad offrire, a chi li sa cogliere, nuovi motivi di ricerca e di approfondimento. L’autore – che per De Ferrari ha pubblicato ormai, con questo, nove volumi – ha provato a fare ulteriore chiarezza tra le pieghe di una guerra civile sanguinosa e terribile, proponendo un’indagine a tutto campo nella brigata nera genovese «Silvio Parodi», cercando di rispondere in modo esauriente ad alcuni interrogativi.
Chi era il comandante Livio Faloppa, poi nominato federale di Genova? Chi era il suo vice Vito Spiotta? E il commissario Giusto Veneziani, capo della squadra politica della questura genovese? E Carlo Emanuele Basile, prefetto della provincia, quindi sottosegretario alla Difesa alle dipendenze di Rodolfo Graziani? Com’era organizzati e chi erano i brigatisti? Come agirono e quanti erano? A quali ideali politici si rifacevano? E poi, come operarono delatori e confidenti infiltrati nelle formazioni partigiane e nel movimento antifascista delle città? E ancora: come finirono i processi ai collaborazionisti, primo fra tutti il «processo di Chiavari» a Spiotta, Enrico Podestà e Giuseppe Righi, squadristi estremi e «animatori» instacabili del III battaglione della brigata nera, la «banda» che ebbe in comune con altre bande analoghe – Carità, Koch, Pollastrini, Bardi i nomi tristemente celebri dei capi – il ricorso sistematico alla violenza contro gli oppositori? Il solo Spiotta, solo per fare un esempio, venne riconosciuto colpevole di oltre quaranta omicidi (compiuti o in prima persona o in correità), centinaia di deportazioni e di sequestri di persona, decine di rastrellamenti, saccheggi, furti, incendi di paesi: appena minori le colpe dei complici.
Il libro, che si prefigge lo scopo di trovare una risposta a molte domande, contiene centinaia di nomi: di partigiani e oppositori, di fascisti, di occupanti tedeschi, ma soprattutto di chi rimase intrappolato nelle maglie di un apparato repressivo che non seppe perdonare scelte di campo diverse e rispose con il carcere, le torture, la deportazione o la condanna a morte al diritto di esprimere un’idea in disaccordo con il conformismo vigente.
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