La Luce Sporca

Scritto in prima persona oltre trent’anni fa, tenuto in un cassetto e, ogni, tanto, rivisto – fino alla stesura definitiva avvenuta nel corso del 2019 – si può definire come un romanzo nichilista ambientato a Milano nei primi anni Sessanta, dove i protagonisti, dopo aver compiuto una parabola esistenziale non troppo lunga ma costellata di esperienze significative, sembrano aver perduto ideali e fiducia nel prossimo. Si aggirano in una città tentacolare, sempre in movimento, che cresce ignorandoli, preda di sentimenti negativi da cui paiono non distaccarsi mai. Nessuno di loro è toccato dalla fede e finiscono per perdersi in un limbo dai contorni indefiniti, dove neppure la tragedia – il suicidio del migliore tra essi – riuscirà a incidere abbastanza da innescare un ripensamento. Soltanto uno, dallo spirito tormentato, deluso, scegliendo la solitudine intravvede in ultimo una luce sfuggente, opaca e sporca, che se non abbaglia annuncia comunque l’opacità della notte, la stessa che aveva contribuito tante volte ad animare. E a definire: «Vento della notte. Se esiste e non è una sensazione cui risulta impossibile dare una forma qualsiasi. Eppure quella particolare notte soffiava il vento e il freddo pungeva. Avevo sonno. Un umido sonno nell’umida notte, perché il vento trasportava con sé umidità, raccolta chissà dove, sul mare oppure sui laghi, parzialmente già depositata nei territori che aveva in precedenza visitato, millenario viandante costretto da perenni migrazioni a perdere la sua forza a poco a poco. Ora, il vento rovesciava miriadi d’invisibili gocce d’acqua su Milano…».