Trentacinquesimo volume per Sandro Antonini, che ha indirizzato
quasi interamente la sua indagine verso la storia del Novecento.
Quest’ultimo libro non fa eccezione, benché non risponda a criteri
di pura ricerca archivistica. Si tratta del secondo volume dedicato
al grande fotografo sestrese, reso possibile da una nuova serie di
straordinarie immagini messe a disposizione, ancora una volta, da
Marisa Anselmo, ex titolare del negozio «Foto Borasino», dal marito
Giuseppe Vallaro e da Giannino Castagnola, che ha contribuito a
integrare il già cospicuo fondo con altre foto del suo archivio
privato.
Si può senz’altro affermare che il fotografo-artista si ripropone,
la qualità delle immagini è rimasta intatta, la poetica è la stessa,
il fascino del passato prorompe imperioso. Rispetto al volume
precedente sono aumentate le sezioni, che adesso risultano cinque
invece di tre. Così, oltre al mare (le vele), la gente e i luoghi,
si sono aggiunte il turismo e il lavoro, con un’apertura verso
quello industriale, dov’è necessario soffermarsi. Non soltanto
perché, da quando quest’ultimo è nato – la prima fabbrica, il
Cotonificio ligure (poi Canapificio ligure), ha cominciato a
produrre nel 1897 affiancata, neppure a dirlo, al primo stabilimento
balneare, il Nettuno, realizzato per conto di un genovese da un
artigiano sestrese – la vita placida e non priva di stenti di una
comunità ha subito una forte accelerazione, ma anche e soprattutto
perché, con il proliferare delle istallazioni, ci si è affannati a
ripetere che lo slogan propagandistico «industria-turismo» fosse il
solo possibile per una cittadina come Sestri Levante, composta di
mare, spiagge e, nell’entroterra, campi coltivati e fiorenti aziende
agricole. Sandro Antonini ha cercato un ordine organico ma personale
per classificare e collocare nel giusto contesto tavole di grande
bellezza.
Il risultato è un prodotto non certo inferiore per quantità e
soprattutto per qualità al volume pubblicato un paio di anni orsono.
L’occhio di Borasino ha colto notevoli aspetti, la sua sensibilità
dietro all’obiettivo ha aggiunto il resto, trasformando persone,
vele, case, mareggiate e panorami in altrettante visioni mai più
ripetute. Scatti «miracolosi» in un certo senso, che hanno aperto la
strada a sviluppi impensati allora, ma che in poco tempo sono
diventati fruibili a tutti, come le tecnologie dei mass media. La
fotografia di Borasino, dall’indubbia vena artistica – chi potrebbe
affermare il contrario? –, se non è riuscita completamente a
sostituire l’immagine alla parola, il pensiero visivo con il
concettuale, ha restituito comunque un’armonia ordinata, che legge
quello che vuole rappresentare e dimostra che se ne possono trarre
preziosi suggerimenti. Per giungere a provare che con il nuovo
mezzo, la macchina fotografica, che ha saputo adoperare così bene in
una prospettiva non soltanto cronologica, una testimonianza dei
cambiamenti attinenti alla nostra eredità culturale è sempre
possibile.
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