SANDRO ANTONINI Storia della
Liguria durante la Repubblica sociale 1943-1945
Il libro da poco
edito mancava dalle biblioteche liguri. Costituisce un punto fermo della nostra
storia recente, quella che dall’armistizio dell’settembre 1943 giunge alla
conclusione della guerra, per la Liguria il 25 aprile 1945. Attraverso l’esame
di una sostanziosa mole di documenti provenienti in massima parte dagli archivi
di Stato e dagli istituti per la storia della Resistenza della regione, e
tracciando un quadro complessivo, è raccontato il vissuto del periodo certamente
più tragico nella storia del paese dall’Unità, i diciannove mesi della Repubblica
sociale italiana quando, caduto il fascismo dopo venti anni di potere
ininterrotto ed eccettuato il breve e poco significativo governo badogliano, il
territorio italiano venne in buona parte a trovarsi sotto l’occupazione
nazista. Benché, con la liberazione di Mussolini, tornasse nuovamente alla
ribalta il fascismo e un nuovo governo satellite fosse creato con il diretto
appoggio di Hitler e il concorso dei suoi funzionari civili e militari. Si sono descritti,
sul territorio ligure, cioè una regione che possedeva importanti strutture –
come il porto di Genova, il maggiore del Mediterraneo e l’arsenale di La
Spezia, il maggiore d’Italia – quali furono gli impatti e le implicazioni
conseguenti alla nascita della Repubblica sociale, che cosa accadde tra il suo
apparire e la sua fine e se, come già affermato, corrisponde al vero che sul
piano formale non si potrebbe neppure parlare di «nascita» ma di «continuità»
tra il vecchio regime e il nuovo, dal momento che quasi tutte le istituzioni fasciste
continuarono ad esistere, le fabbriche a produrre, le scuole ad applicare i
programmi stabiliti, le poste a consegnare lettere, i servizi pubblici come
ferrovie, tranvie, autocorriere a trasportare merci e passeggeri, la Borsa a
funzionare. Un regime caratterizzato da una guerra civile di notevole ampiezza,
da precarie condizioni di vita, da bombardamenti intensivi e pressoché
quotidiani, da una crisi alimentare che non parve risolversi mai, da una
povertà diffusa nonché dall’occupazione nazista, che rubava continuamente la
scena con il suo ruolo primario, mai messo in discussione ma passivamente
subito, accanto al neofascismo delle istituzioni ufficiali che quando non si
resse sul consenso trovò conforto appoggiandosi alle «baionette tedesche». Tuttavia il regime di
Salò non può essere minimizzato; neppure lo si può liquidare dichiarando che il
governo instaurato era privo di vera importanza perché tutto si risolse
accettando le imposizioni dell’alleato. Né, tantomeno, considerarlo una
parentesi nella storia del paese; al contrario è parte di essa a ogni effetto,
inscindibile. Si ebbero notevoli differenze interne e non risulta affatto agevole
definirne omogenei gli attori sociali, perché si svilupparono parecchi livelli
di collaborazione e di responsabilità. Il percorso della Rsi, seppure accidentato
da continui ostacoli, presenta notevoli ambiguità interpretative e in essa la
collaborazione, o se si vuole l’acquiescenza alle scelte del regime, fu piuttosto
ampia. D’altronde la Rsi, da quando fu deciso dovesse esistere, prese a
mettersi in moto – in modo contraddittorio, con limiti e manchevolezze evidenti
e con crescente impopolarità – presentando un proprio apparato e numerosi
personaggi tenuti ai margini dal vecchio regime ma che adesso, con la domanda
che superava l’offerta, tollerati e incoraggiati, riuscirono a tornare alla
ribalta prendendosi una momentanea rivincita. Non mancarono, specie nella
pubblica amministrazione, funzionari preparati né ottusi burocrati e neppure
solerti impiegati i quali, quando le disposizioni lo richiesero, eseguirono
alla lettera i compiti più ingrati. Piaccia o meno la Rsi, benché si fosse
affermata con il determinante concorso dei tedeschi, fu uno Stato a tutti gli
effetti, sebbene riconosciuto da pochissimi soggetti: quasi totalitario,
repressivo, violento e sanguinario ma che, in qualche misura, riuscì perfino a
dispensare servizi essenziali e accessori. Uno Stato che, dal versante
dell’ordine pubblico, previde la messa al bando degli oppositori e la
soppressione dei nemici interni; uno Stato dove Mussolini, accettando di
assumerne la guida, rimase cosciente di poter disporre di margini di manovra
assai limitati ma che, comunque, tentò di avviare verso un percorso disseminato
di impossibili ostacoli. Si pensi, in questa ottica, ai soventi richiami al
«fascismo delle origini» e ai programmi di «socializzazione» delle imprese che
fino a pochi giorni dalla conclusione della guerra non volle abbandonare benché
avversati da tutti, tedeschi, industriali e operai. E benché l’epilogo si
avvicinasse a grandi passi, appare indubbio che il duce fosse all’ultimo
segnato dalla mancanza di realismo. .
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