Omicidi in Appennino - Menzogne e verità sul «mostro di Bargagli»

E' la ricostruzione, assolutamente rigorosa, dell'ininterrotta catena di omicidi che dal 1944 giunge al 1989, conosciuta come «mostro di Bargagli», passata attraverso numerose inchieste e processi senza che si sia mai trovato un solo colpevole. Tutto ciò mi è stato reso possibile grazie ai documenti depositati all'Archivio del Tribunale penale di Genova, visionati in virtù di un decreto del Presidente del Tribunale stesso, e ha tra l'altro il pregio di confutare alla radice le argomentazioni - per lo più fantasiose - della stampa che negli anni si è occupata dei vari casi (di pressoché tutta la stampa nazionale e della televisione) e che, in un crescendo di ripetizioni, conformismo e luoghi comuni ha collezionato una serie di abbagli clamorosi. La particolarità del libro è che i sospetti di presunti omicidi - senza eccezione - sono partigiani, un gruppo di partigiani di "Giustizia e Libertà", che gli inquirenti ritengono uniti da un tacito patto teso a eliminare "verità scomode" risalenti al tempo della guerra. Definiti di volta in volta dai giornali "banda dei vitelli", "ladroni", "banditi mascherati da partigiani", in realtà e benché la sentenza d'appello li abbia "assolti per non aver commesso i fatti" appartengono indubitabilmente alla resistenza, che - così si legge nelle motivazioni accusatorie - avrebbero adoperato come ideale paravento per compiere azioni illecite e veri e propri crimini. E' una storia complessa e descritta quasi sempre, per non dire sempre, in modo sbagliato, coperta da reticenze, omertà e omissioni politiche secondo il principio che "la resistenza non si tocca", ribadito anche attraverso attacchi ai magistrati, allora definiti senza mezzi termini da una parte politica "fascisti", inseriti in quella categoria che oggi, in un curioso rovesciamento di prospettiva, è accusata di "comunismo" da un'altra parte politica. Una storia che ha coinvolto, a vari livelli, un'intera comunità - di Bargagli, appunto - e ha provocato interventi di condanna all'operato dei giudici e di giustificazione all'operato dei partigiani, benché almeno due fra i primi uccisi - il brigadiere dei carabinieri Candido Cammereri e l'appuntato Carmine Scotti - fossero anch'essi legati al variegato mondo resistenziale. A quelle morti occorre risalire quando si intenda comprendere le successive e gli altri fatti di sangue perlomeno "dubbi" che hanno contribuito a creare la leggenda del "mostro" e a mantenerla nel tempo. Il lavoro si prefigge dunque di fornire una risposta definitiva, e soprattutto coerente, a una vicenda lunga quarant'anni e che, a oggi, risulta sempre interpretata in modo privo di riscontri oggettivi.